Famiglia, lavoro, patria: sono questi i temi su cui ruotano le opere di Justine Triet, tra le figure più interessanti del nuovo cinema francese. Le sue sono piccole storie che si agitano dentro la Storia. Nei suoi film cortocircuitano finzione e realtà, pubblico e privato, videoarte e performance. A partire dai primi cortometraggi realizzati subito dopo gli anni all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-arts di Parigi e il diploma in Arti plastiche. Sur Place (2007, menzione speciale al Festival di Brive, inserito nelle collezioni del Centre Pompidou e del Museu Berardo di Lisbona) testimonia la volontà di refictionnaliser le réel. Girato da una finestra durante le proteste studentesche anti CPE a Parigi nel 2006, Sur Place è «una danza di corpi, una scena collettiva dove esplode la violenza». I cittadini diventano attori che si confrontano in uno spazio pubblico, ma è soltanto il conflitto ad emergere. La folla è una massa compatta e uniforme. È proprio il ruolo dell’individuo all’interno di un gruppo, l’ambiguità e la visione stereotipata che i media rilanciano di questi eventi ciò che interessa Triet. Come nei successivi Solférino (2008), realizzato durante le elezioni presidenziali del 2007, e Des Ombres dans la maison (2009), girato in una banlieue di São Paulo seguendo il 15enne Gustavo, la madre alcolista Giselle, l’assistente sociale che li convoca e la Chiesa evangelista che fa da sfondo alla vicenda. Vilaine fille, mauvais garçon (2011), il suo primo cortometraggio di finzione ispirato nel titolo ad una canzone di Serge Gainsbourg, è la storia di Thomas e Lætitia, due trentenni che la solitudine fa incontrare per caso ad una festa. Tra dramma e leggerezza, per loro è l’inizio di una notte “fuori orario” sulla strada della felicità. Il corto vince numerosi premi in vari festival francesi ed internazionali, inclusi lo European Film Award alla Berlinale nel 2012 e il Grand Prix sia ad Angers che a Belfort, e viene nominato ai César nel 2012. Justine è pronta per l’esordio nel lungometraggio: La Bataille de Solférino (2013, candidatura ai César per la migliore opera prima, selezione all’ACID di Cannes, Premio del Pubblico al Festival Paris Cinéma, considerato dai Cahiers du cinéma uno dei dieci film più belli dell’anno) vede Lætitia Dosch (Lætitia, come in Vilaine fille, mauvais garçon) nei panni di una giornalista che affronta la giornata delle elezioni vinte da François Hollande in Rue de Solferino, storica sede del Partito socialista francese. Girato in presa diretta tra i sostenitori che aspettano il risultato delle urne, il film si immerge nella realtà di un grande evento nazionale facendo rimbalzare la “guerra” politica con quella famigliare di Lætitia, che per assicurare i servizi alla rete ha lasciato a casa le sue bambine, proprio il giorno in cui il padre separato vuole vederle. Un pezzo illuminante di metatelevisione e metacinema (le persone credevano realmente che la protagonista fosse una giornalista e la telecamera una telecamera televisiva) che fotografa angosce private e pubblici conflitti. Il ritratto è quello di una donna complessa, contesa tra vita professionale e personale, come l’avvocatessa Victoria Spick (Virginie Efira) di Victoria, commedia sofisticata che ha aperto la Semaine de la Critique di Cannes 2016 e divertito la Croisette. Un film cinico e romantico sulla spirale emotiva di una donna che cade, sbaglia e si rialza, e sulle ossessioni della regista: le difficili relazioni tra i sessi, la solitudine, i figli, la giustizia, i soldi, il sesso. Una screwball comedy che conferma la raffinatezza e il talento della sua autrice.