Avremo ancora un giardino da coltivare tra qualche decennio? La risposta è più che mai incerta, ci fa notare l’architetto Nicola Delon, che lo scorso 19 ottobre ha partecipato a questa seconda edizione dei Dialoghi del Farnese.
Organizzato nell’ambito di « Cultivons notre jardin », ciclo di incontri sulle sfide legate al cambiamento climatico, questo dibattito sulla città del futuro ha visto in dialogo gli architetti Eric Cassar, Carlo Ratti e Nicola Delon. Si è trattata di un’occasione per esaminare i loro rispettivi approcci nei confronti di una città più sostenibile e che sia capace di integrare le nuove tecnologie.
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La città, al centro delle questioni climatiche contemporanee
Durante l’incontro, tanto i tre relatori quanto la moderatrice, la giornalista Barbara Carfagna, hanno insistito sull’urgenza di ripensare la città alla luce delle sfide legate al clima e alla sovrappopolazione. Ogni giorno la popolazione aumenta di 200 000 persone a bordo di quella che l’architetto visionario Richard Buckminster Fuller chiamava “la nave spaziale Terra”. Le città, pur coprendo il 2% della superficie terracquea, ospitano il 50% della popolazione mondiale e sono responsabili del 75% del consumo energetico e di più del 70% delle emissioni di gas a effetto serra.
La città ha dunque un potenziale devastante per il nostro pianeta, ma, consideratane la concentrazione, rappresenta anche un’opportunità per l’organizzazione in collettività.
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Ridefinire il ruolo dell’architetto
Di fronte a queste enormi sfide e all’imperativo della sostenibilità, l’architetto contemporaneo si ritrova investito di nuove responsabilità.
Eric Cassar, per il quale la “smart city” è prima di tutto l’introduzione del digitale nella vita urbana, ha presentato il suo progetto Habiter l’infini (Abitare l’infinito), vincitore nel 2017 del Grand Prix Européen Smart-city conferitogli da Le Monde. Per risolvere i problemi della carenza di spazio nelle città e del sovra-consumo d’energia, Cassar propone di moltiplicare gli spazi collettivi e dinamici che possano svolgere varie funzioni, come ad esempio uno spazio professionale concepito per diventare un luogo di vita di quartiere durante il fine settimana. L’architetto, oltre a organizzare lo spazio, deve oggi costruire i suoi progetti sulla base del tempo.
D’altronde, per Cassar lo “smart” non rappresenta esclusivamente una dimensione utile, ma deve anche iscriversi all’interno di un atteggiamento sensibile e artistico.
Carlo Ratti ha altresì evidenziato la rilevanza e l’interesse che l’arte e il design possono avere nel rispondere ai problemi di oggi. Nello specifico, ha portato ad esempio la realizzazione di una vetrata che permette di ottimizzare la potenza della luce naturale riuscendo a garantire, allo stesso tempo, la protezione della vita privata.
Il suo lavoro a capo del Senseable Lap del MIT a Boston, laboratorio all’avanguardia rispetto agli utilizzi del digitale in architettura, ospita inoltre dei progetti di ricerca che aiutano a capire meglio il funzionamento della città, come ad esempio attraverso la misurazione dello spreco energetico negli spazi vuoti.
Nicola Delon ha insistito sulla nozione del riciclo dei materiali, che è al centro del suo lavoro e rappresenta una soluzione sia all’esaurimento delle risorse sia all’aumento esponenziale di rifiuti. I materiali già usati costituiscono quindi una “miniera urbana” a cui bisogna attingere.
Così, il suo padiglione, costruito nel 2015 per la Cop 21 di Parigi, ricicla 200 porte, e insieme s’iscrive in un tipo di architettura narrativa, che racconta la storia dei materiali utilizzati. Lo stesso concetto si ritrova nel progetto Lieu infini (Luogo infinito), presentato all’ultima Biennale di Venezia, dove Delon era responsabile artistico del padiglione francese, progetto che presenta analogie con il lavoro di Eric Cassar sugli spazi dinamici e polifunzionali.
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La tecnologia, una soluzione promettente per le città, se utilizzata con giudizio
Nicola Delon fa riferimento a una “discrepanza di tempi”: l’evoluzione delle tecnologia viaggia molto più velocemente del cambiamento delle città. Per Carlo Ratti è quindi ovvio che l’architetto debba misurarsi con queste nuove tecnologie se non vuole caderne vittima.
Tuttavia non è nemmeno possibile ricorrere alla tecnologia come a un rimedio miracoloso ai problemi della città. Come sottolinea Nicola Delon, parlando dei giacimenti di metalli rari che servono alla fabbricazione dei nostri smartphone, non possiamo adagiarci su un mito e allo stesso tempo esaurire le risorse che permetterebbero di realizzarlo.
Da parte sua, Eric Cassar propone un utilizzo delle tecnologie che sia prima di tutto al servizio del cittadino. Per esempio, i guadagni tratti dalla raccolta dei data potrebbero essere archiviati e reinvestiti negli edifici, in modo da realizzare una specie di automanutenzione.
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Smart city e patrimonio: cambiare software
E le città europee? Come fa notare Barbara Carfagna, è più facile installare nuovi dispositivi in spazi vuoti. Ora, una città Roma, in cui viviamo fisicamente – e in un certo modo psicologicamente – nel passato, è “satura” di edifici storici. L’Europa rischia quindi di rimanere indietro?
Per tutti e tre i relatori, il passato è evidentemente una risorsa, se si riesce a gestire meglio lo spazio. Non c’è nessuno bisogno, ironizza Carlo Ratti, di far colare cemento nei canali di Venezia. Se le città storiche erano in effetti difficilmente adattabili alla tecnologia del ventesimo secolo, risultano invece perfettamente compatibili con l’era del digitale. “Il materiale può rimanere lo stesso, basta cambiare il software”.
Replay del dibattito: