E’ entrato nel vivo lo scorso 24 settembre a Palazzo Farnese “Cultivons notre jardin”: il ciclo di conferenze che l’Ambasciata di Francia e l’Istituto Francese-Italia organizzano fino a dicembre in 12 città per riflettere insieme a 135 relatori italiani e francesi sulla crisi ecologica e le prospettive di un nuovo benessere globale centrato sulla sostenibilità.
Il progetto è stato voluto fortemente dal accogliente, lungimirante Ambasciatore francese a Roma, Christian Masset, che ritorna nella sede di Palazzo Farnese dopo un precedente mandato e dopo essere stato Segretario generale del Ministero degli Esteri a Parigi. L’ambasciatore sottolinea «l’eccellenza della ricerca e dell’innovazione ecosensibili nei nostri due paesi» che hanno quindi un ruolo primario nella difficile «transizione ecologica». All’inizio della conferenza aggiunge che «Francia e Italia hanno una sensibilità forte e comune in tema di cambiamento climatico e tutela del pianeta. Hanno soluzioni ed esperienze diverse, ma entrambe svolgono un ruolo di primo piano su questo versante. Per questo ci è parso interessante incrociare questa esperienza e queste visioni». Sponsor principale è Edison, tra i principali operatori di energia in Italia ed Europa, attivo nel sostenere il dibattito sulle grandi sfide di oggi come l’energia sostenibile, il futuro delle città e l’abitare contemporaneo.
Nel pomeriggio, a Palazzo Farnese, l’architetto Stefano Boeri e lo storico del paesaggio Hervé Brunon hanno dialogato sul tema «La natura, il futuro delle città?» durante un evento su invito trasmesso in streaming su facebook.com/IFItalia. Parallelamente, il 24 e il 25, si terrà presso l’École Française di Roma il convegno “Il ruolo degli spazi aperti nella trasformazione delle città mediterranee” dove relatori provenienti dai due paesi si confronteranno sulla funzione delle zone periurbane agricole o naturali, dei parchi e dei lotti non urbanizzati, per la resilienza e la vivibilità. Il 17 dicembre si tornerà a Palazzo Farnese per la manifestazione conclusiva con Jean-Yves Le Gall, presidente del Centre national d’études spatiales, e Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia spaziale italiana, dedicata ai programmi di monitoraggio dallo spazio sul clima per permettere alla ricerca di affrontare al meglio le alterazioni della biosfera garantendo la gestione dei fenomeni meteorologici estremi.
Abbiamo chiesto a Stefano Boeri ed Hervé Brunon cosa pensano del ruolo e dell’ interazione fra quelle che sembrano le due grandi branche d’avanguardia nella sfida contro il cambiamento climatico e nell’armonizzazione tra città, uomo e natura: da un lato l’architettura del giardino e del paesaggio, con le sue forti radici nella tradizione rinascimentale, dall’altro la più pionieristica bioarchitettura con il suo fascino molto trendy. Per ripristinare il benessere ambientale si possono percorrere infatti tre strategie: la conservazione e tutela del verde già presente nelle città oppure reintegrare questo verde nella materia classica dell’architettura – come nel caso del Bosco verticale di Stefano Boeri a Milano- o ancora sposare la materia con le forme della natura per creare un’ inedita estetica ed equilibrio visivo come nel caso della Villa Méditerranée dello stesso Boeri a Marsiglia.
Hervé Brunon ha ricordato la sua tesi di dottorato sul parco fiorentino di Pratolino voluto da Francesco I de’ Medici, che lo ha messo in contatto con l’immaginario della natura nel Seicento. Ha fatto un rilievo critico al tema della serata citando il famoso libro dell’antropologo «Philippe Descola , allievo di Claude Levi Strauss, Par-delà nature et culture (2005), in cui si teorizza che non c’è niente di naturale nella idea di natura, ma che essa è un’istanza, un paradigma culturalmente definito con radici greche remote, uno sviluppo nel pensiero cartesiano, nella modernità tecnologica e infine nella separazione, verso la fine dell’Ottocento, in Scienze della Natura e Scienze dello Spirito. Questi spartiacque sono solo un modo di raccontare la relazione tra umani e non umani, la loro continuità e discontinuità, accanto all’animismo, al totemismo, all’analogismo». Si può ripartire dalla natura non antropizzata e, per ribadire il concetto di una natura inventata e creata da un elemento esterno, Brunon ha citato l’antropologo Timothy Ingold, il libro How forest think di Eduardo Kohn, ricordando che perfino l’amazzonia non è una foresta primaria, ma un ambiente modificato dall’uomo e che l’uomo deve tornare a riflettere sul suo ruolo, sul suo potere prometeico per contenere il quale si deve richiamare il principio di responsabilità di Hans Jonas.
In relazione al tema delle città e della sfida urbanistica, Hervé Brunon si è riagganciato alla grande riforma di Parigi voluta da Napoleone III, affidata al prefetto George Eugène Haussmann tra il 1853 e il 1869, per la trasformazione della capitale medievale e la conversione delle antiche mura che la circondavano in viali consacrati alla passeggiata, a piedi o in carrozza. Haussmann provvide all’adeguamento dell’impianto viario, di una rete di percorsi esemplificati dai grandi Boulevards, dai piccoli square verdi di Parigi, simili ai moderni pocket garden di New York. La sfida dell’integrazione del verde contro l’antropizzazione è molto spinosa. Brunon ha ricordato anche il destino tribolato della capitale romana, come enormi spazi verdi sono stati chiusi nonostante il lavoro straordinario di Alberta Campitelli, ex direttore dell’Ufficio Ville e Parchi Storici di Roma Capitale, che ha affrontato il problema dell’arrivo delle macchine. Quello che ha reso, ad esempio, la Galleria Borghese un crocevia di strade nel cuore di Roma, qualcosa che non è quello che aveva voluto il cardinale Scipione, mente invece si è adeguata meglio Villa Torlonia. dimora verde che ospita chi fuoriesce dall’asse viario. Roma è abituata a questa sparizione o corruzione degli spazi verdi, come accadde per la corona di cui parlava D’Annunzio tra cui c’era Villa Ludovisi completamente distrutta per dare vita al quartiere di Porta Pinciana.
«Il genius loci di Roma è la topografia disordinata e caotica fatta di colli e vallate – ha continuato Brunon. Il Forum Romanum era un acquitrino paludoso. Roma è organica, non è geometrica. L’unica città che non dispone di un sistema ad anello, con mura sempre più larghe, come Parigi o Amsterdam. Non c’è il decumano, non ci sono i viali ottocenteschi tranne quelli umbertini di Corso Vittorio, Via Nazionale, Via Cavour». Si è discusso così anche del fatto che molti spazi verdi romani hanno perso la loro originaria densità naturale, cosa che li ha resi ancora più assorbiti dall’asse delle strade, come è accaduto al Circo massimo che prima era un bosco di oleandri, e che non basta chiudere al traffico una strada per garantire che divenga una passeggiata monumentale come è successo per via dei Fori Imperiali. Del resto raggiungere il fine dell’amenità, che per Brunon è quello principale, non è facile e nemmeno i Bouvelard parigini sono diventati luoghi per camminate amene nonostante gli alberi piantati ai tempi di Napoleone III.
L’architetto Stefano Boeri, autore di Biomilano. Glossario di idee per una metropoli basata su biodiversità, ha mostrato il promo della prima iniziativa mondiale di «forestazione urbana» per aumentare enormemente il numero di alberi e piante nelle città, proprio per assorbire attorno al 40% i Co2 prodotti dall’inquinamento. Uno degli obiettivi è piantare a Milano almeno 3 milioni di alberi. Parigi ha deciso di aumentare del 90% i tetti verdi, esperimento fatto prima a Tokyo e a Singapore. Le metropoli sono le maggiori responsabili del cambiamento climatico con il consequenziale innalzamento degli oceani, minaccia seria e talmente incombente che Tokyo, Shangai, Alessandria d’Egitto stanno già studiando metodi per evitare di essere sommerse. Ma, al contrario dei luoghi comuni, le città non sono solo inquinamento, ma anche grandi incubatori di biodiversità.
Boeri ha descritto il suo Bosco verticale, i due grattacieli di 100 e 80 metri costruiti nel quartiere Isola a Milano, che incorporano un trionfo di biodiversità tra alberi, arbusti e essenze vegetali che producono riforestazione, rigenerazione e mitigazione ambientale, rispettando la strategia «anti-sprawl», cioè senza implicare ulteriore espansione di territorio, generando un microclima peculiare e un ecosistema in grado di assorbire i Co2 sparsi nell’atmosfera. Ha mostrato le versioni del Bosco verticale di Nanchino, Losanna, Shangai e gli ulteriori esempi virtuosi della Foret Blanche di Parigi, interamente in legno, e del Trudo Vertical Forest. Anche Boeri ha problematizzato il tema della serata con riferimenti al dialogo tra Noam Chomsky e Michel Foucault. La natura «non si esprime nelle metropoli solo col verde, ma come processi sociali complessi e c’è una dimensione naturale in tutto quello che sfugge al controllo irrazionale, che sfugge alla norma. Ci sono fenomeni naturali che non sono codificali, che sono difficilmente governabili e che riguardano il 35% della popolazione mondiale. Si pensi alle favelas di Rio. Dobbiamo stare attenti codificare troppo la nozione di natura estetizzandola ed edulcorandola». Boeri ha poi espresso il suo profondo credo nella natura: «Gli alberi comunicano fra di loro, con le loro radici. Fermano la crescita davanti ad un ostacolo. C’è qualcosa di inesplorato negli alberi».
Anche a Boeri giriamo la domanda sulle tre direzioni della bioarchitettura, della conservazione del paesaggio e di un’architettura che mima la natura come quella della Villa Méditerranée, centro espositivo nato per ospitare eventi culturali e di ricerca sui temi del Mediterraneo, che viene progettata nel 2013, in occasione di Marsiglia Capitale Europea della Cultura, e si incastra armoniosamente nello skyline della Basilica bicroma e delle mura della parte finale del Vecchio Porto, ponendo il mare come spazio di riferimento, con la darsena artificiale e una vera e propria piazza d’acqua sottostante. «Bisogna leggere il territorio come un giardino – ci risponde. Tutti i modelli suburbani di una città diffusa a bassa densità sono antiurbani, si pensava che se si voleva costruire nella natura bisognava andare fuori dalla città. Invece si può creare integrazione come dimostra l’High Line, il parco lineare di New York realizzato sulla vecchia linea South West di Manhattan. In pochi ricordano che New York è una città di orti urbani. Ci sono molte strategie per fare diventare la città una sfera biologica, dove la specie dominante armonizza la sua presenza con quella di altre specie».
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