Mosco Levi Boucault

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Roubaix, une lumière di Arnaud Despleschin (Selezione ufficiale Cannes 2019) è un adattamento del film di Mosco Levi Boucault, Roubaix commissariat central, affaires courantes (2007). Ne Il Traditore di Marco Bellocchio (Selezione ufficiale Cannes 2019), si ritrova la Corleone raccontata da Mosco Levi Boucault nel film Corleone, le parrain des parrains (2019). Poco noto al grande pubblico, Mosco Levi Boucault realizza grandi documentari per la televisione dagli anni ’80. Film concepiti attorno a figure eroiche, scottanti, solforose, spesso “bigger than life”, tutte generatrici di finzione, se non anche di mitologia. Figure che anche il cinema di finzione fa sue.

Nato nella Bulgaria sovietica nel 1944 in una famiglia “ebrea atea”, Mosco Levi Boucault arriva in Francia a 10 anni. Realizza il suo primo documentario, Des terroristes à la retraite, nel 1985, immediatamente dopo i suoi studi all’Idhec, mentre preparava un film di finzione sul tema. «Ho pensato ai meravigliosi sopravvissuti ritrovati. Sarebbero morti senza lasciare traccia. Ho optato per un documentario, proprio per scongiurarne la morte». Mosco Levi Boucault affronta temi politici scomodi come in Mémoires d’ex, sugli espulsi dal Partito Comunista Francese durante il XX secolo. Filmando persone dimenticate, riesce a scrivere la Storia e i suoi crimini nascosti. Successivamente si lancia in una serie di documentari d’inchiesta, riprende quanto accade nei commissariati di Philadelphia, Abidjan e Roubaix, e sperimenta una forma cinematografica interamente documentaria molto forte. Qui appaiono tragedie, senza trucchi o artifici. Storie o modi di fare che vediamo solo romanzati nei film di finzione, qui ci saltano addosso, personaggi così complessi emergono in tutta la loro brutale realtà.

«Le questioni poliziesche sono state a lungo dominio esclusivo della finzione, di cinema e romanzi» dice Boucault. «I documentari si sono potuti avvicinare solo come intrusi finché, finalmente, le porte dei commissariati non si sono aperte con film come Faits divers e Cops. Ho voluto scoprire un altro aspetto della realtà poliziesca: le inchieste. Le ho lette. Le ho viste al cinema. Con questa serie ho voluto provare a vedere, dietro lo schermo della finzione e del romanzo, come funziona davvero un’inchiesta, giorno per giorno. Viene commesso un crimine ad Abidjan, Philadelphia, Napoli, Bombay, Ajaccio, Buenos Aires o Shanghai. L’inchiesta viene affidata a un ispettore. Il progetto consiste nel seguirlo con una troupe cinematografica ridotta tentando di trasporre una sorta di «diario» dell’inchiesta in un film da 90 minuti. L’obiettivo non è trovare un colpevole, ma cogliere una pratica, un processo, una cultura poliziesca e scoprire un uomo (l’ispettore), una città e i frammenti di una società».

Oltre all’efficacia romanzesca e alla loro natura grezza e intensa, questi film superano ampiamente l’ambizione giornalistica di essere «nel cuore di un questione poliziesca» per fare scaturire, da una storia unica, una morale umana e artistica: «L’inchiesta poliziesca cerca di confondere i sospettati per farli condannare. Il documentario cerca di capirli per potere, forse, salvarli».

Con Ils étaient les Brigades rouges (2011) e Corleone, le parrain des parrains (2019), Mosco Levi Boucault riprende temi cari ai giornalisti, ma provando a dar voce a chi ha concepito e compiuto certi atti. I pentiti con i volti coperti raccontano dall’interno Cosa Nostra e la comparsa di Totò Riina al suo processo spazza via l’immaginario spaventoso e affascinante attorno al padrino e ai padrini.