REPORT - Dialoghi del Farnese

L'emergenza biodiversità

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L’EMERGENZA BIODIVERSITÀ

Per tre anni, circa 550 scienziati di un centinaio di paesi hanno realizzato un lungo lavoro di ricerca e analisi di migliaia di articoli scientifici arrivando ad una conclusione inequivocabile: la biodiversità è minacciata in tutti i continenti e in tutti gli stati. Entro il 2050 tra il 38% e il 46% delle specie animali e vegetali potranno scomparire con delle ripercussioni tragiche per il nostro pianeta. I continenti più a rischio sono il centro e il sud America, l’Africa sub sahariana e l’Asia, più vulnerabili a causa dell’impoverimento del suolo.

Questo è l’allarme lanciato durante il dibattito L’Emergenza biodiversità, organizzato dall’Institut français d’Italie per il ciclo di incontri « Dialoghi del Farnese - Cultivons notre jardin » a Palazzo Farnese.

A parlarne, Stefano Mancuso, a capo del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale all’università di Firenze; Gilles Boeuf, professore, ricercatore e consigliere scientifico del ministro dell’ambiente francese dal 2015 al 2017; e Gilles Clément, paesaggista, giardiniere e botanico francese, curatore del progetto Zen 2 di Palermo.

 

Preservare la biodiversità per preservare noi stessi

I tre oratori hanno insistito sul fatto che la biodiversità non è un problema tra tanti ma il problema di cui tutti gli altri problemi sono corollari.

Stefano Mancuso insiste infatti sul pericolo inaudito che costituisce la scomparsa delle specie nella nostra epoca.

«La velocità con la quale le specie scompaiono non è stata mai provata da questa pianeta. Nelle altre cinque estinzioni di cui abbiamo notizie, la velocità con la quale le specie sono scomparse è stata migliaia di volte inferiore a quella che stiamo oggi sperimentando. Questo pianeta ha delle risorse finite. Non possiamo continuare a consumare indefinitamente queste risorse via via che queste risorse scompaiono. Allo stesso tempo, incidiamo sulla nostra stessa capacità di sopravvivenza come specie e su quella di tantissime altre.»

Per Gilles Boeuf, l’uomo ha bisogno di accorgersi che il suo futuro dipende della protezione delle altre specie viventi.

«Oggi, tutto il sistema si trova di fronte ad una grande minaccia, perché l’umano distrugge gli ecosistemi, li inquina e li sfrutta eccessivamente. È necessario che l’uomo si renda conto che non potrà vivere senza gli esseri viventi. Non si tratta di una battaglia da ecologista disturbato o strambo, è il problema di ogni uomo.»

Gilles Clément aggiunge che tutti gli ecosistemi sono interdipendenti e che non basta preservare soltanto le specie che ci sembrano «utili» o «importanti». Inoltre, dal suo punto di vista di giardiniere, l’erbaccia non esiste e tutte le erbe sono importanti per l’equilibrio della natura.

«Se riduciamo il numero delle specie, ci mettiamo noi stessi in pericolo. Abbiamo bisogno di tutta la diversità, anche di quella che non sfruttiamo, anche di quella che non sfruttiamo per mantenere in equilibrio quella che sfruttiamo, per mantenerci noi stessi.»

Cambiare modello culturale e ripensare il posto dell’uomo

Tra le diverse idee e concetti, i tre oratori hanno spiegato la nozione di antropocene, che è argomento di dibattiti nella comunità scientifica mondiale. Si tratta di sapere se la presenza umana possa essere alla radice della denominazione di uno dei tempi geologici. Oltre a questa questione, è indubbio che l’uomo abbia profondamente modificato il suo ambiente, soprattutto per quel che riguarda i suoli, che sono adesso molto danneggiati. Secondo Gilles Clément, il periodo dell’antropocene è cominciato con la comparsa dei giardini e dell’agricoltura, quando l’uomo ha cominciato a trasformare la natura. Ma questo modo di sfruttare le risorse non era un problema fino all’era industriale, con cui siamo entrati in un altro periodo che lui chiama « il stupidocene » e che è caratterizzato da un modo assurdo e irresponsabile di consumare.

C’è quindi bisogna di cambiare il nostro modello culturale, particolarmente quello che Gilles Clément chiama il nostro «modello di bramosia». Dobbiamo infatti passare da un obiettivo di crescita materiale ad un obiettivo di crescita immateriale, cioè la crescita delle conoscenze.

Se si considerano i tempi biologici della Terra, la presenza dell’uomo è meno che rilevante. Dire che l’uomo è più sviluppato delle altre specie perché ha costruito, per esempio, il Palazzo Farnese, non ha senso. Il cervello umano ha in realtà una piccolissima capacità di calcolo e per il momento non riesce a smettere di distruggere se stesso. Dobbiamo invece essere consapevoli che siamo una specie tra altre sulla pianeta, come ha mostrato Gilles Boeuf, spiegando che abbiamo per esempio un terzo del nostro DNA in comune con le microalghe.

C’è quindi bisogno di compiere quella che Stefano Mancuso ha chiamato «una rivoluzione copernicana della vita», cioè prendere coscienza del fatto che tutta la natura non esiste per soddisfare i nostri bisogni e desideri, proprio come abbiamo finalmente capito, secoli fa, che il nostro pianeta non era al centro dell’universo.

Insomma, è necessario capire le altre specie e il loro modo di funzionare, che è spesso molto più efficiente del nostro, se guardiamo per esempio alcune piante. Abbiamo bisogno di lasciarci ispirare da questo sapere, che Gilles Clément chiama «il genio naturale».

Replay del dibattito: