Marie-Claude Treilhou

Condividilo!

MARIE-CLAUDE TREILHOU - BIOGRAFIA

Marie-Claude Treilhou ha appreso il cinema da autodidatta negli anni ’70 al fianco di Gérard Frot-Coutaz e Paul Vecchiali, in quel girone del cinema francese che, sotto il nome di Diagonale, viveva ai margini della produzione cinematografica degli anni ’70 e ’80 e ha rappresentato insieme un’avventura di vita, una morale e un’estetica.

Il suo primo tentativo, Simone Barbès ou la Vertu, è diventato un film cult. In esso Marie-Claude Treilhou racconta la notte di solitudine e di vagabondaggio della giovane Simone Barbès tra il cinema porno dove lavora e il nightclub lesbico che frequenta. Se “il cinema è emozione”, come Godard faceva dire a Samuel Fuller in Pierrot le fouSimone Barbès ou la Vertu è il cinema. Alcuni ricordano che il film era sulla copertina dei Cahiers du cinéma nel marzo 1980 e che Serge Daney ne parlava molto bene alla radio. Diverse generazioni di registi (Alain Guiraudie, Laurent Achard, Serge Bozon, Yann Gonzalez) vi fanno esplicitamente riferimento. L’uscita della copia restaurata nelle sale francesi nel 2018 ha creato un nuovo entusiasmo: il gioiello segreto meglio custodito del cinema francese stava finalmente vivendo una seconda vita. Cosa possono trovare le nuove generazioni in questo film di 40 anni fa? “Probabilmente un incoraggiamento», dice Marie-Claude Treilhou. “A fare un passo a margine, a fare con poco, a non conformarsi al mainstream».

E Marie-Claude Treilhou non ha mai lasciato i margini – cinematografici, politici, geografici. Dalle fiction ai documentari ha percorso quarant’anni di cinema da clandestina, convinta che l’entusiasmo sollevi le montagne, senza mai smettere di vedere nel cinema una possibilità di resistenza, a volte dolorosa. La coerenza artistica del suo approccio e l’orgoglio di questa coerenza sono esemplari. Ha realizzato un grande film di fiction per decennio, mentre intorno a lei i liberi pensatori e gli artigiani coscienziosi scomparivano progressivamente: la commovente cronaca familiare Le jour des rois all’inizio degli anni ’90, la sua prima e ultima collaborazione con attori professionisti (per inciso, grandi attrici leggendarie: Micheline Presle, Danielle Darrieux, Paulette Dubost); il dissacrante Un petit cas de conscience del 2002, sulla meschinità della vita quotidiana e le convinzioni di facciata, un film libero e distante da tutto, come gli attori che lo abitano (Marie-Claude Treilhou, Dominique Cabrera, Claire Simon e Alain Guiraudie, tutti registi). In tutti i film di questa «figlia del popolo» c’è un gusto per i dialoghi, per il linguaggio, una gioia per la pronuncia che sono anche un modo discreto ma ostinato di resistere al «buco nero dello spettacolo» e alla svalutazione dell’essere umano.

Allo stesso tempo, Marie-Claude Treilhou ha realizzato diversi documentari sul mondo della musica, tra cui Les Métamorphoses du cœur nel 2003 su un coro amatoriale e Couleurs d’orchestre nel 2007 sull’Orchestra di Parigi. Questi film elogiano l’ardore e il perfezionismo e cercano di mostrare attraverso il mezzo cinematografico «l’elevazione dell’umanità che la musica fornisce, un baluardo di raffinatezza contro la barbarie».