Cinéma et audiovisuel

Cinémardi #14

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CINÉMARDI #14
04 ottobre — 13 dicembre 2022

Cinema De Seta
Cantieri Culturali alla Zisa
via Paolo Gili, 4 – Palermo

tutti i film sono in lingua originale con sottotitoli italiani
ingresso gratuito

in collaborazione con
Città di Palermo / Assessorato alla Cultura, IFcinéma, Festival Animaphix, Festival Efebo d’Oro

Programma

[ 04 OTTOBRE – 21.00 ]
À l’abordage
di Guillaume Brac
Francia / 2021 / 95’

[ 11 OTTOBRE – 21.00 ]
La traversée
di Florence Miailhe
Francia, Germania, Repubblica Ceca / 2021 / 80’
nell’ambito del Festival Animaphix

[ 18 OTTOBRE – 21.00 ]
Les 2 Alfred
di Bruno Podalydès
Francia / 2021 / 92’

[ 25 OTTOBRE – 21.00 ]
The Last Hillbilly
di Diane-Sara Bouzgarrou, Thomas Jenkoe
Francia / 2021 / 80’

[ 8 NOVEMBRE – 21.00 ]
Onoda, 10 000 nuits dans la jungle
di Arthur Harari
Francia, Germania, Belgio, Italia 2021 / 168’
nell’ambito del Festival Efebo d’Oro

[ 15 NOVEMBRE – 21.00 ]
Annette
di Leos Carax
Francia, Germania, Belgio / 2021 / 139’

[ 22 NOVEMBRE – 21.00 ]
Les magnétiques
di Vincent Maël Cardona
Francia, Germania / 2021 / 98’

[ 29 NOVEMBRE – 21.00 ]
Municipale
di Thomas Paulot
Francia / 2022 / 109’

[ 13 DICEMBRE – 21.00 ]
Albatros
di Xavier Beauvois
Francia / 2021 / 115’

Presentazione

I cineasti francesi hanno voglia di guardare oltre, come dimostrano diversi film in programma per questa nuova edizione di Cinémardi. Il cinema francese – se non la Francia stessa – sembra tracciare per loro confini troppo angusti. Nel caso di Leos Carax, questa non è una novità. Regista raro ed esigente – 6 film in 37 anni –, Carax ha sempre giocato con la sua immagine di enfant terrible esiliato nel proprio paese. Come accade per pochi altri autori del cinema mondiale, ogni suo nuovo film è una grandiosa promessa di “cinema assoluto”. È uno degli ultimi registi a fare cinema là dove altri fanno film, per usare la vecchia distinzione godardiana. Con Annette, film musicale in inglese ispirato al gruppo Sparks e interpretato da Adam Driver e Marion Cotillard, Carax firma un’opera che forse va ancora oltre in questa ricerca di solitudine che caratterizza l’approccio artistico dell’autore.

Il desiderio di altrove, la voglia di avventura e di epopea, di uscire dalla cornice (per alcuni versi limitante) del cinema d’autore francese, è ciò che meglio caratterizza Onoda, 10.000 notti nella giungla, secondo lungometraggio di Arthur Harari, dopo il già acclamato Diamant noir. È un affresco di quasi tre ore che ripercorre il destino del più famoso dei «soldati giapponesi rimasti». Cattura magnificamente la vera storia del sottotenente Onoda, trovato nel 1974, quasi trent’anni dopo la fine del conflitto, sull’isola delle Filippine sulla quale era stato inviato in missione. La produzione di Onoda è profondamene atipica: non è un film giapponese o filippino, e tantomeno un film francese, nonostante la nazionalità del suo autore. Lo stile evoca i grandi modelli giapponesi (Mizoguchi) ma anche americani (da Walsh a Eastwood). Classico e lineare, di incredibile ricchezza e bellezza, ci ricorda che il cinema è una macchina per sognare ma anche per pensare il mondo. La traversée, primo lungometraggio di Florence Miailhe, scritto insieme a Marie Desplechin, autrice di libri per bambini, si presenta come una trasfigurazione delle tragedie, delle pulizie etniche, delle persecuzioni che hanno segnato la storia del XX secolo. Pur rifiutando di ancorare la sua storia a luoghi reali ed epoche specifiche, è evidente l’ispirazione a situazioni reali, mescolate a racconti e miti di varia natura. Lo spaesamento è qui anche nella forma. La regista sfrutta, infatti, una tecnica poco comune nell’animazione: la pittura a olio su lastra di vetro.

È il desiderio di fare un film sugli Stati Uniti, di mostrarne un lato sconosciuto agli stessi americani, che è all’origine del bellissimo documentario The Last Hillbilly, di Diane-Sara Bouzgarrou e Thomas Jenkoe. Ma, nel loro caso, l’altrove rimanda al qui: a partire da un territorio dimenticato, i registi mostrano frammentazione e fratture sempre più diffusamente percettibili, oltre a una certa forma di disperazione e un senso di smarrimento di fronte a un mondo, il nostro, che sembra essere sull’orlo di un precipizio e all’inizio di un profondo cambiamento, e si rendono conto che girare altrove è anche e soprattutto filmare se stessi e mettere in discussione il proprio mondo. Les Magnétiques, il primo lungometraggio di Vincent Maël Cardona, ci invita a un altro tipo di spaesamento: in questa ricostruzione un po’ fantasticata e non priva di nostalgia per i primi anni ’80, il regista mostra fino a che punto questo periodo, che segna il tramonto dell’era analogica e la nascita del mondo odierno, ci sembri contemporaneamente lontano e del tutto passato, ma anche molto vicino a noi, nei suoi sentimenti, nelle sue problematiche, nei suoi personaggi.

Accanto a questo desiderio di altrove, c’è anche un profondo desiderio di ancorarsi al locale, al qui e all’ora, di essere a stretto contatto con il reale. Si va, allora, a esplorare la Francia provinciale, quella delle sottoprefetture, la “Francia periferica”, come se il cinema non dovesse abbandonarla alle immagini riduttive dei media e ai discorsi opportunistici dei politici. Questi film rispondono sicuramente meglio all’idea che abbiamo del cinema francese (reputato realistico o addirittura naturalistico). Troviamo questa preoccupazione in Albatros, di Xavier Beauvois, che descrive con accuratezza la vita di una gendarmeria a Étretat e la rabbia degli agricoltori di fronte ai vincoli amministrativi, prima di virare verso orizzonti più mistici; in Municipale che, con la folle scommessa di spingere un attore in una campagna elettorale, insinua la finzione nella realtà per risvegliare una cupa realtà politica, unendo sperimentazione politica e artistica; nel delizioso À l’abordage di Guillaume Brac, che impiega il genere più amato dai francesi, la commedia, e un luogo popolare per eccellenza, il campeggio, per iniettarvi elementi estranei: i rapporti di classe e la diversità, la delicatezza e la malinconia. È attraverso la commedia e la satira che Bruno Podalydès, in Les 2 Alfred, attacca la nuova lingua del capitalismo digitale e mette in luce le aberrazioni del mondo del lavoro e delle società iperconnesse.