Cinéma et audiovisuel

43° Cinema e Donne

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43° FESTIVAL DI CINEMA E DONNE FIRENZE 

DIARIO 2022

http://www.iwfffirenze.it/

 

Il Festival di Cinema e Donne di Firenze nasce alla fine degli anni Settanta, e come nella tradizione gloriosa dei cineclub italiani, esprime un pubblico che si procura da solo film che altrimenti non vedrebbe mai. Il pubblico/protagonista del Festival non è indeterminato e indefinibile. Si tratta di donne giovani e giovanissime che aprono radio libere, organizzano convegni sulle scrittici del passato e del panorama letterario contemporaneo, ricostruiscono le tracce della vita e della cultura femminile che la storia ufficiale non contempla. Cercano di sondare la consistenza della distanza tra donne e arte e capire come e quanto questa distanza possa essere colmata, includendo anche immagini e protagoniste di esperienze negate o non abbastanza conosciute. Il cinema al centro. Anche perchè le sue immagini riflettono i modelli femminili prevalenti nella società ma contemporaneamente partecipano alla loro formazione.
Quello dell’autore, certo, ma anche quello dello spettatore che ad esso si sovrappone con un margine, spesso ampio, di autonomia.

I primi festival hanno titoli programmatici (Oltre lo specchio, L’occhio negato, solo per citarne alcuni) e presentano un interesse per le registe che hanno privilegiato e proposto sguardi e linguaggi sperimentali: Germane Dulac e Maya Deren, Margherite Duras e Chantal Akerman. Naturalmente Alice Guy, l’impiegata della Gaumont appena riscoperta in Francia, prima donna regista, ma anche primo autore cinematografico in assoluto, sino ad allora ignorata completamente dalle storie del cinema. Dall’Inghilterra arrivano le cine critiche con macchina da presa come Laura Mulvey e poi ci sono i film delle indipendenti americane che producono e distribuiscono direttamente le loro opere, come Amalie Rothschild, con la New Day Film.

Gli anni Ottanta si aprono con il Leone di Venezia a Margarethe von Trotta. La punta di un iceberg. A Firenze Ulrike Ottinger, Helke Sander, Jutta Brickner, Helma Sanders-Brahms, e le altre autrici tedesche sono già di casa.
Arriva la nuova onda canadese con Patricia Rozema e LAia Pool. Hanno alle spalle la pioniera Nel Shipman e una potente tradizione di documentarismo. Attivissimo lo Studio D, una struttura di produzione e distribuzione per le donne. Quella canadese è una realtà riccamente multiculturale. A Firenze la rappresenta, molto bene, una giovane regista che vive tra india e Canada, Deepa Metha.
Le australiane, alla fine del decennio, sono ancora più determinate. Jane Campion, conosciuta attraverso i suoi straordinari cortometraggi, vince Cannes con Lezioni di piano e il suo stile incanta Venezia (Un angelo alla mia tavola). For Love or Money di Megan Mc Murchy, Margot Olivier e Jenj Thornley ci aveva già mostrato le origini di una emancipazione non semplicemente suffragista e il perdurare di una tradizione tra scrittura e cinema, autorevolmente ripresa da Gillian Armstrong (La mia brillante carriera, Ultimi giorni da noi). La scoperta sono le grandi produttrici che sostengono il successo della cinematografia del periodo. Il titolo dell’edizione del festival è inevitabilmente La grande barriera corallina.
La caduta del muro di Berlino è preannunciata dalle sempre maggiori crepe nelle censure della burocrazia sovietica, attraverso le quali molte autrici filtrano per presentare, sempre più liberamente, il loro lavoro. Hanno studiato nelle grandi scuole di Mosca e Leningrado (si chiama ancora così fino al 1991) anche quando provengono dalle Repubbliche Baltiche, dalla Georgia o da Samarcanda. Due nomi esemplari: Kira Muratova e Lana Gogoberidze. Le retrospettive più importanti del decennio sono dedicate a Musidora, Asta Nielsen, Marie Epstein e Maya Deren.

Gli anni Novanta. La Francia tira la volata europea aggiungendo alla sua già folta tradizione (Colin Serreau, Liliane De Kermadec, Nelly Kaplan ecc.) nuovi nomi: Dominique Cabrera, Christine Carriére, Catherine Corsini, Claire Denis, Danielle Dubroux, Agnes Merlet, Laetitia Masson e molte altre. L’edizione 1997 La distanza delle cose vicine è dedicata a loro. Ma, attenzione! Le «ragazze» italiane che, negli anni passati, avevano presentato saggi di scuola, opere prime o documentari autoprodotti, sono cresciute e costituiscono la novità più importante del nostro cinema, glorioso ma, ad esclusione degli inizi pionieristici e di rare e preziose eccezioni, tutto rigorosamente firmato al maschile e orgoglioso di essere tale. Sono figlie d’arte, allieve del Centro Sperimentale, hanno studiato cinema in America o in Germania, hanno lavorato a lungo in Rai. Sono tutte diverse e tutte molto interessanti. Alcune sono attive anche per il teatro o scrivono romanzi: Francesca e Cristina Comencini, Francesca Archibugi, Elisabetta Lodoli, Costanza Quatriglio, Nina di Majo, Wilma Labate, Antonietta De Lillo, Fiorella Infascelli, e tutto il resto della «squadriglia italiana».

Il decennio si conclude con due progetti, Multicinema e X-film, cinema contro la violenza e con un convegno incentrato sulla possibilità di utilizzare la comunicazione visiva per la prevenzione della violenza contro donne e bambini. Hanno aperto la strada le autrici africane. La senegalese Safi Faye con il suo classico Mossane e l’algerina Rachida Krim con Sous les pieds des femmes. Madrina italiana Cinzia Torrini, ospite d’onore Pratibha Parmar, anglo-pachistana.

Nasce così il Premio Sigillo della Pace del Comune di Firenze per segnalare le opere migliori per la lotta agli stereotipi del sessismo e del razzismo e per contrastare il concetto dilagante di scontro tra le culture. Proprio in questo momento molte donne dell’area mediterranea islamica, Marocco, Tunisia, Libano, Algeria, Turchia, partecipano al festival proponendo il loro punto di vista sul presente e su una storia che innegabilmente ci riguarda. Sembra che difficoltà e pericoli non scoraggino ma stimolino la necessità di espressione e comunicazione. Assieme ai grandi film arrivano, proprio dalle aree di maggior conflitto, videolettere e instant movies da Algeria, Iran, Nepal, Palestina.

All’inizio del terzo millennio la Turchia prende il posto dell’Iran per la novità degli sguardi e per la tensione tra tradizione e modernità. Yesim Ustaoglu (Viaggio verso il sole, Aspettando le nuvole) testimonia l’insensatezza dei fondamentalismi forieri di stragi e di guerra. La questione del velo, passa in secondo piano, quella della libertà femminile no. Yamina Benguigui con Inchai’allah dimanche intreccia con humor e commozione le fila della lotta per l’indipendenza algerina con quella per l’emancipazione femminile. Figlie della generazione degli intellettuali africani del passing culturale ma anche delle banlieu in perenne rivolta, e autrici euroafricane fanno denuncia sociale anche attraverso il cinema di genere. Il vertice della triangolazione tra Oriente, Occidente e Africa è Beirut con le gallerie d’arte e le autrici nomadi ma che poi ritornano sempre alla città fenice (Jocelyn Saab Dunia, C’ra una volta Beirut).
Con grande sapienza e grande attenzione alla musica del Maghreb Moufida Tlatli per la Tunisia collega passato e presente con I silenzi del palazzo e La stagione degli uomini. La musica mediterranea, tra Africa ed Europa, è percepita come ambito privilegiato della fusione tra le culture (Andalusia, Catalogna, Algeria, Tunisia, Egitto, Sicilia) nei film etnomusicali di Izza Genini.
Più conflittuale il cinema afroamericano che fa i conti con la l’impostazione anticoloniale e separatista della tradizione radicale made in Usa. Dopo l’afrocentrismo degli anni ‘70 e ‘80 le registe mettono in discussione i modelli di genere appartenenti alle culture africane precoloniali e quelli della comunità nera contemporanea da cui provengono (No di Aishah Shahidah Simmons).

Dal centro del conflitto tra Israele e Palestina arrivano i film di Liana Badr e Samia Halaby che rivendicano il diritto alla pace attraverso la prospettiva della pittura e le tradizioni femminili legate alla coltivazione dell’olivo. Tra le israeliane, Yulie Cohen Gerstel con My terrorist rifiuta la disumanizzazione dell’intollerabile guerra perenne.Probabilmente perchè il Mediterraneo unisce le terre più che dividerle, e perchè le iniziative di solidarietà italiane in Terra Santa sono tante e a forte partecipazione femminile, molti documentari, che coniugano lucidità e passione, sono stati girati proprio in quei luoghi dalle autrici italiane. Per citarne qualcuno: La casa dei limoni di Isabella Sandri e Lettere dalla Palestina di Wilma Labate, Giuliana Gamba ed altri.

Resta sempre centrale, per noi, il cinema italiano, che offre belle prove di sè in questo inizio millennio, con autrici ormai ben conosciute e molto amate dal nostro pubblico ma anche con giovani e giovanissime che si misurano con cortometraggi e documentari. D’altra parte i migliori documentari italiani degli ultimi anni sono a firma femminile e contribuiscono alla rinascita di un genere di cinema militante, molto vicino ai movimenti e impegnato in cause come l’ecologia e la lotta alla mafia. Però occupiamo, nelle statistiche europee, la non invidiabile posizione del fanalino di coda. Siamo preceduti solo dalla Grecia per scarsità di accessi per le donne alle professioni del cinema e in particolar modo alla regia. La difficoltà c’è e gli ostacoli da rimuovere sono, in parte evidenti, in parte difficili da individuare. Per queste ragioni la tradizionale discussione tra le autrici italiane sullo stato dell’arte trasformata in un «Focus sul cinema italiano» è patrocinato dalla Vicepresidenza del Consiglio Regionale Toscano. Obbiettivi: un’indagine a tutto campo sulla situazione italiana e sulle ipotesi di intervento per riequilibrare il divario delle possibilità, specie per le più giovani. Fornire, anche attraverso sguardi critici esterni sulla nostra produzione cinematografica, una valutazione dell’impatto di genere sulla cinematografia nazionale all’interno del sistema, ormai osmotico, della comunicazione visiva in tutte le sue forme.

Proprio dalla consapevolezza delle trasformazioni in atto nasce un nuovo premio. Il premio Gilda per quelle attrici che attraversano i confini e non rispettano i limiti assumendo, di volta in volta, ruoli e funzioni diverse passando, ad esempio, dalla recitazione alla regia o lavorando tra cinema, televisione e teatro. Assumendo insomma su di sè molte responsabilità e giocando generosamente tutte le potenzialità di cui dispongono.