Focus

Jacques Audiard

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#rvcinema | IX Edizione

 Festival Rendez-vous I appuntamento con il nuovo cinema francese IX edizione I Focus Jacques Audiard

L’anima è il corpo nel cinema lirico e brutale di Jacques Audiard, regista che ha saputo sublimare i generi con uno spiccato talento autoriale. L’oppressione del singolo, avvertita prima nel fisico e poi nella mente, è al centro delle sue storie. Non c’è nulla di etico e moralista nel suo cinema, visceralmente ancorato alla realtà: i suoi eroi molto discreti sono protagonisti di sorprendenti incontri e rivoluzionari percorsi di crescita. Sono personaggi isolati in lotta con il mondo, spesso vittime di handicap o di straniamenti psichici e sensoriali, che vagabondano senza meta, prima che un incontro dia loro la possibilità di redimersi, di rimettersi in piedi riconciliandosi con la vita.

Figlio del grande sceneggiatore Michel Audiard, Jacques (classe 1952) era destinato a divenire professore se durante i suoi studi in Letteratura non avesse scoperto la passione per il cinema, abbandonando l’università e cominciando a lavorare come assistente per Roman Polanski (L’inquilino del terzo piano) e come montatore per Patrice Chéreau (Judith Therpauve). Inizia a raccontare quei personaggi che tanto ama, dei quali ne esaspera la fisicità con intensità e partecipazione, da sceneggiatore, scrivendo per Claude Miller il noir metafisico Mia dolce assassina (1983), con Denys Granier-Deferre e Josiane Balasko le black comedy Réveillon chez Bob (1984) e Sac de noeuds (1985), fino alla love story di Australia (1989), all’eccentrico Confessions d’un Barjo (1992, dal romanzo Confessioni di un artista di merda di Philip K. Dick), alla commedia sul doppio (e sul cinema) Il sosia (1994), diretto e interpretato da Michel Blanc e scritto con Blanc e Bertrand Blier.

Audiard fa il suo esordio alla regia nel 1994 con Regarde les hommes tomber, con cui vince tre César, tra cui quello come miglior film: un polar duro e coinvolgente, tratto dal romanzo Triangle di Teri White, su un rappresentante di biglietti da visita (Jean Yanne) che molla tutto per scoprire chi sono gli assassini del suo migliore amico (Yvon Back). Un debutto da ritmo e suspense impeccabili, che rivela subito un talento fuori dal comune. Due anni più tardi, con Un héros très discret (Premio per la miglior sceneggiatura a Cannes 1996), Audiard dirige ancora Mathieu Kassovitz e Jean-Louis Trintignant (la coppia di vagabondi nel suo film d’esordio) immergendosi nella caotica Francia alla fine della Seconda guerra mondiale, per celebrare la fantasia affabulatoria di Albert Dehousse: un uomo che non ha partecipato alla guerra ma si è inventato una vita da eroe costruendo con le sue menzogne un personaggio fuori del comune. Un film originalissimo (tratto dall’omonimo romanzo di Jean François Deniau) che spiazza e diverte, combinando il mockumentary, la commedia e la Storia.

Con Sulle mie labbra (2001), Audiard prosegue la sua ricerca verso la marginalità e le emozioni forti con un mélo-thriller che ha per protagonisti i magnifici Emmanuelle Devos e Vincent Cassel. Lei è Carla, segretaria quasi sorda che legge le parole sulle labbra degli altri. Lui è Paul, un rozzo ex carcerato con tanti debiti di gioco, assunto nella società in cui lavora lei. Due solitudini che si uniscono in una love story di sensualità intensa e spiazzante, che vince tre César e prepara il terreno per Tutti i battiti del mio cuore (2005). Liberamente ispirato a Rapsodia per un killer diretto da James Toback nel 1978, il quarto film di Audiard è un noir contemporaneo selvaggio e sincopato, minaccioso e profondamente umano, in cui la macchina a mano del regista pedina la vita di Tom (Romain Duris), condannato dal sangue ai loschi traffici immobiliari del padre (Niels Arestrup) e convertito dall’incontro con una pianista cinese ad inseguire il sogno della musica, proprio come sua madre. Una volta ancora, il film diventa una lezione di grande cinema che gli procura venti premi, di cui otto César. La consacrazione definitiva arriva nel 2009: Il profeta, racconto dell’ascesa del giovane delinquente Malik (Tahar Rahim) tra prison e gangster movie, noir e romanzo di formazione criminale, vince nove César e il Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes. Infischiandosene del politicamente corretto, Audiard armonizza il noir di Melville con il film carcerario, l’opera sociale con l’apologo brechtiano.  Una riconciliazione che Un sapore di ruggine e ossa (2012) espande nei toni da vero melodramma espressionista, liberamente ispirato alla raccolta di racconti brevi di Craig Davidson. Marion Cotillard e Matthias Schoenaerts sono Stéphanie e Ali, due esseri mutilati che vivono la loro quotidiana guerra per la sopravvivenza guidati dalla certezza di poter cambiare il proprio destino. La Palma d’Oro arriva nel 2015 con Dheepan, la storia di un combattente Tamil (Anthonythasan Jesuthasan) che fugge dallo Sri Lanka e arriva in un agglomerato di una banlieue malfamata per ricostruirsi una vita, con una famiglia che non ha. Ancora una volta, la brutalità dell’azione e la tenerezza dei sentimenti, l’integrazione (in un contesto nuovamente ostile) e l’amore che salva. Se per Dheepan Audiard lavora con attori non professionisti che parlano Tamil per confrontarsi al meglio con la nozione di “straniero”, nel caso de I fratelli Sisters (2018) gira il suo primo film in lingua inglese, dirige un cast sontuoso di star hollywoodiane e abbandona le periferie urbane per un anomalo, bizzarro e dannatamente divertente western di formazione (dal romanzo del canadese Patrick DeWitt). Un film, che ha ottenuto il Leone d’Argento a Venezia 75 e quattro César, dedicato a suo fratello François, «per sapere che razza di orfano sono e che mondo mi ha lasciato».